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Nel caotico mondo della Scuola si “scontrano” ormai da anni le istanze più diverse: in forza di un titolo, di un’esperienza o di una pronuncia di tribunale, intere categorie di precari rivendicano per sé un diritto al ruolo che reputano prioritario rispetto a quello di tutti gli “altri”. La poca compattezza della categoria fa il gioco di una politica che prende decisioni confuse e contraddittorie, e lascia a decine di migliaia di individui la faticosa incombenza di portare avanti “il carrozzone” dell’Istruzione Pubblica in Italia. abilitazione estera
Oggi pubblichiamo la lettera di una professoressa che ha conseguito l’abilitazione all’estero e lamenta un trattamento ostruzionistico da parte di molti, in particolar modo dalla segreteria della scuola presso la quale ha presentato domanda di inserimento nelle graduatorie.
Noi non parteggiamo per nessuno: il nostro intento è solo quello di “portare a galla” storie di persone che vivono uno quotidianità costantemente incerta, fatta di sacrifici e gravata dall’impossibilità di progettare realisticamente alcun futuro.
La lettera
Gentilissima redazione di Senex, vorrei raccontarvi la mia esperienza affinché possa rivelarsi un’occasione di confronto ed eventualmente aiutare chi in futuro avrà esperienze simili.
L’esperienza a Madrid
Mi sono laureata nel 2008 e dopo anni di precariato, senza possibilità alcuna di avere uno “straccio” di abilitazione all’insegnamento, nel 2011 ho deciso di partire per Madrid così da provare altre opzioni dal punto di vista lavorativo e formativo.
Sono rimasta in Spagna per circa 6 anni e mezzo, conseguendo sia l’abilitazione all’insegnamento che il dottorato di ricerca: sono riuscita ad ottenere traguardi che in Italia probabilmente mi sarei sognata, tra i quali anche la possibiltà di insegnare all’università. Durante tale permanenza ho anche ottenuto il riconoscimento della mia abilitazione in Italia, sostenendo un esame durato tre giorni e che rispettava tutte le misure compensative previste dal MIUR.
Il ritorno in Italia
Nel 2017, una volta apertasi la possibilità di un concorso transitorio per abilitati, ho deciso di tornare a casa. Non è stata una scelta facile: tanti anni lontana, numerosi sacrifici e difficoltà, ma anche soddisfazioni e opportunità che il mio Paese non mi ha mai dato. Mi sono dunque iscritta in seconda fascia e mi sono messa ad aspettare il concorso.
Quest’anno però è arrivata la “doccia fredda”: la scuola capofila ha decurtato il punteggio della mia abilitazione – ottenuta all’estero ma riconosciuta poi con decreto – in quanto pare la consideri non omologa a quella italiana. Ho fatto reclamo con un avvocato, ma ora rischio di trovarmi con 40 punti in meno a causa di un errore non mio, perdendo quindi la possibilità di lavorare come supplente. Noto molta ignoranza in materia di diritto europeo poiché spesso le tabelle di valutazione sono interpretate in modo arbitrario.
Altra questione riguarda il mio voto di abilitazione: mi è stato decurtato anche il punteggio in quanto il decreto di riconoscimento non riporta un voto… ma non è previsto un voto sul decreto di riconoscimento dell’abilitazione estera! Essa stessa dev’essere valutata come quella italiana anche per quanto concerne il voto.
Le “interpretazioni” della normativa
Sono “vittima” di un’ingiustizia, perché in altre regioni errori del genere sembra non siano stati fatti: credo che le scuole non possano agire “a macchia di leopardo”, e che prima di decidere riguardo ad una decurtazione sia necessario chiamare il MIUR e accertarsi di quello che si sta facendo. Non si gioca con la vita della gente: mi sono sentita trattata come una persona disonesta, e dico ciò per l’atteggiamento che ha avuto la segreteria nei miei confronti. Ho sudato per ottenere i miei titoli – compreso il dottorato – nessuno mi ha mai regalato nulla: esistono normative europee che vanno rispettate, e non ha senso che una segretaria si senta in diritto di interpretare una norma. La norma va applicata e l’atteggiamento dell’ufficio statale deve essere univoco ovunque.
Sono molto demoralizzata: ogni volta che presento un documento dove si attesta una mia esperienza professionale all’estero (che in un Paese guidato dal buon sento verrebbe certamente apprezzata) vengo guardata con sospetto. Viviamo in Europa, ma siamo ancora molto lontani dall’essere un’unione di Stati e di pensieri.
G.C.
SENEX
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