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Ci è stata spedita una lettera che sentiamo vicina alla nostra sensibilità: è scritta da una giovane insegnante non di ruolo, e testimonia efficacemente il disagio che un’intera generazione sta vivendo (e non ci riferiamo solo ai precari della scuola). Ci fa molto piacere pubblicarla: speriamo davvero possa smuovere le coscienze e far riflettere chi di dovere.
La lettera di Alessandra
Trovo finalmente il tempo di scrivervi. Mi chiamo Alessandra, ho 34 anni e mi sono imbattuta nel vostro sito facendo ricerche in Internet: ci sono arrivata tramite l’articolo sulla NASpI, e poi ho letto anche gli altri, quelli che riguardano i precari della scuola.
Perchè anche io sono una docente precaria di terza fascia.
Vi scrivo perchè vorrei provare, vostro tramite, ad esprimere il disagio che mi attanaglia per la condizione nella quale mi trovo: a volte mi sento persa, quasi inutile. Ce n’è voluto di impegno, ma alla fine ce l’hanno fatta: ci hanno costretti ad una condizione di autocompatimento. Parlo della politica, che con tutti i suoi mezzucci si è dimenticata del valore che si dovrebbe attribuire alla scuola; parlo del mancato riconoscimento all’importanza che noi insegnanti abbiamo, a quanto siamo fondamentali e a quanto poco invece la società (indottrinata per decenni) ci percepisca come tali.
La nostra rischia di diventare la rincorsa ad un posto fisso che spesso, nel corso del tempo, uccide la passione da cui eravamo mossi all’inizio, e ci riduce ad essere come soldati di questo o di quell’altro schieramento alla disperata ricerca di certezze che ci risollevino dalla condizione cui siamo costretti oggi. Perchè siamo precari, siamo quelli che vengono interpellati quando c’è bisogno, ma che altrettanto rapidamente sono dimenticati; quelli che, come me, non sanno che cosa aspettarsi dalla vita. Questo ci imbruttisce come persone, e al tempo stesso mortifica lo slancio col quale abbiamo iniziato il nostro cammino da insegnanti.
Come dicevo ho 34 anni, ed io e il mio compagno viviamo in affitto: abbiamo dovuto trasferirci per sperare in un lavoro più stabile. Lui ha studiato, come me, ed ora si trova invischiato in questa sorta di ritardo che ci rende vecchi quand’ancora siamo giovani. Perchè alla mia età mia madre aveva già due figli, e mio padre sapeva con una buona approssimazione che ne sarebbe stato del suo futuro professionale. Oggi noi, invece, viviamo sballottati senza garanzie: vorrei avere un bambino, anche il mio compagno lo desidera, ma non possiamo permettercelo. Non so neppure che ne sarà della mia vita, se mai dovessero decidere di spazzare via quelle graduatorie che mi tengono appesa alla vita reale.
Spero di cuore la mia lettera riesca a far capire che c’è un mondo intero che vorrebbe ma non può: il mondo di quelli come noi, che per un motivo o per l’altro non sono ancora “sistemati”. Non è possibile fare finta di nulla, fare come se non esistessimo: abbiamo diritto a vivere un’esistenza dignitosa, gratificati da un lavoro per il quale abbiamo a lungo studiato e sereni nel poterci assumere delle responsabilità, come ha sempre fatto chi ci ha preceduto.
Oggi voglio provare a far sentire la mia voce: chi “comanda” non può condannarci a questa perenne e insoddisfatta rincorsa, perchè così facendo – sul lungo termine – condannerà anche se stesso.
Alessandra F.
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Lucia
Molto bella, mi ci sono ritrovata in pieno. Deve cambiare qualcosa, altrimenti la nostra società rischia il collasso…