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Forse nelle intenzioni del legislatore la “Buona Scuola” avrebbe dovuto veramente essere tale, ma all’atto pratico si stanno evidenziando così tante asperità da scontentare un po’ tutte le parti coinvolte. no al fit
Un numero sempre maggiore di giovani docenti precari, brillanti motivati e desiderosi di impegnarsi in ciò che sarebbe sbagliato definire semplicemente “lavoro” – chi fa o ha fatto l’insegnante sa quanta passione occorra – sta tristemente valutando di abbandonare quel percorso lungo, costoso e senza alcuna garanzia di riuscita che prende il nome di FIT (Formazione Iniziale e Tirocinio).
La storia dei 24 CFU (competenze che molti spesso hanno già “assimilato” durante il percorso universitario), la bassissima retribuzione (al pari di uno stage, si vocifera) e l’incertezza che nonostante tutto l’impegno possa la conclusione possa essere infelice, in un contesto lavorativo precario che preclude ai giovani anche solo la possibilità di immaginare una vita che non si riduca ad essere pura “sopravvivenza”, sempre più persone si ritirano sconfitte ancor prima di cominciare.
Lo sfogo social, una finestra sul mondo
Sono moltissimi ogni giorno coloro che affidano all’universo social la propria amarezza per un mondo che fatica ad accettarne il talento, minandone sin da subito ogni proposito: fra le tante abbiamo scelto di pubblicare quella di Daniele Buonpane, che ci è parsa profondamente onesta e condivisibile. Ve la proponiamo senza dilungarci ulteriormente (i commenti li lasciamo piuttosto a chi avrà piacere di dirci il proprio pensiero a riguardo).
Questi miei ultimi giorni, sono stati per me segnati da una profondissima autoriflessione. Ho dovuto valutare molteplici aspetti, per prendere una decisione abbastanza seria, era in gioco il mio futuro, ma non tanto da intellettuale, ma a livello professionale. Ho dovuto decidere se tentare di conseguire una riabilitazione all’insegnamento per la mia cattedra di concorso.
In sintesi dovrei ancora una volta intraprendere un percorso lungo, difficile e costoso. Per ora ho deciso di restare in terza fascia. Credetemi, tutto ciò è stata fonte di inquietudine. Pur essendo sempre ottimista, oggi non credo più nella scuola e nelle sue leggi irragionevoli. Se non cambiano le cose non cambierà la mia attuale idea che ho sulla scuola. Mi ritrovo a combattere tra le mie passioni e le mia vita. In Italia l’insegnate è uno dei mestieri più belli ma è svolto nelle peggiori condizioni. Confesso, insegnare mi piaceva molto, ma negli ultimi anni questo desiderio è scemato, con esso anche la voglia di sapere tante belle cose per poi trasmetterle. Come del resto anche la passione per la filosofia è meno sentita, sarà che viviamo in un tempo dove le mie idee sono solo idee, lontane dal tatto di tutti i giorni. Forse sono troppo fuori luogo per vivere questo mio tempo storico.
Quando arrivi a quasi 30 anni, hai voglia di certezze no precarietà. Cose concrete e immediate, no infinite attese e illusorie speranze. La differenza tra il giovane laureato che ero qualche anno fa e l’uomo d’oggi è proprio questa: la necessità di dovere afferrare qualcosa di concreto. Le mie più alte aspirazioni dell’essere in conformità con i miei principi morali, impongono un imperativo da sempre: lottare per vivere. Ma in questa società cannibale mal si adatta il mio essere pensatore libero. Non posso che crearmi un mio futuro, penso che con le mie idee troverò qualcosa di affine, forse non avrò mai una cattedra di storia e filosofia, però avrò una vita vera.
Se non cambia la mentalità del paese e non si mette al centro il concetto di umanità, allora, non ha senso andare avanti con quello che studio e dovrei insegnare ai giovani. Io possono andare contro tutti e tutto ma non contro di me e la mia moralità. So bene che di questi tempi, i miei discorsi che portano termini così sofisticati, ma alcun tempo obsoleti, sono poco chiari e considerati, ma chi come me, ha sempre vissuto un’esistenza nel vero e nel giusto, potrà in parte comprendermi. Queste delusioni mi stanno facendo apprezzare la vita e quel poco che ho oggi.
Nonostante tutte le aspettative ormai fallite, sto avendo molto a livello umano da queste esperienze. Sono stanco di sentire che noi giovani, dobbiamo fare sacrifici, ne abbiamo fatti tanti e anche per molto tempo, ma sono stati tutti improduttivi, perché dietro il concetto di lavoro si nasconde quello di sfruttamento. Siamo la società dei precari e sottopagati, non si può creare un futuro sulla precarietà, ieri hai lavorato, forse oggi lavori, domani no; il guaio è l’adattamento della nostra specie a tali condizioni. Il mio non è assolutamente un atteggiamento disfattista, ma è la decisione di chi si vuole prendere in mano il controllo della propria vita. Perciò, voglio che le mie azioni condizionino il futuro della mia vita, non voglio e non posso restare a vivere in questo modo e assoggettarmi a queste assurde condizioni.
Oggi, in tutto questo c’è una cosa di me che questa società non potrà mai distruggere, quella cosa sono i miei pensieri. Anche questa volta, come ho sempre fatto da vero uomo, prendo le decisioni e mi assumo in pieno le conseguenze. Personalmente sono sereno e in pace per questa mia scelta.
Che futuro ci aspetta?
Un paese che non sa valorizzare i giovani – in particolare quelli più dotati e sensibili – è destinato purtroppo ad una agonia dolorosa e indegna: la speranza è che questo grido (insieme a tutti gli altri) possa risvegliare le coscienze.
SENEX
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