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La Privacy, l’abbiamo già detto più volte, ci sta molto a cuore: per tale ragione non potevamo tacere una novità legislativa votata di recente e che cambia le regole sulla custodia dei dati – la cosiddetta «Data Retention» – relativi alle nostre comunicazioni.
In precedenza infatti le informazioni sulle nostre chiamate (in entrata e in uscita), sui nostri messaggi venivano conservate per 24 mesi (1 anno invece per quanto concerne quelle relative alla navigazione Internet) dopodichè la compagnia telefonica o il provider le cancellava dai propri database.
Una brusca accelerata sulla «Data Retention»
Da pochi giorni invece la Camera ha approvato un emendamento firmato dai deputati PD Verini e Berretta che triplica il periodo di conservazione dei tabulati: in pratica tutte le informazioni riguardanti le nostre comunicazioni verranno archiviate per 72 mesi, ossia 6 anni. Un tempo lunghissimo che sembra avere eguali negli altri paesi europei: la cosiddetta “data retention”, pensata come strumento di lotta al terrorismo, rischia piuttosto di essere percepita come strumento di sorveglianza degli individui.
Le informazioni saranno ovviamente a disposizione dell’autorità giudiziaria, anche se l’accesso ai dati dovrebbe essere limitato per «finalità di accertamento e repressione» di alcuni reati particolarmente gravi.
In che cosa consistono i metadati conservati dal provider?
- Traffico telefonico: mittente, destinatario, data e durata di una chiamata, cella telefonica ecc
- Traffico telematico: data e ora della connessione e disconnessione, indirizzo IP
La perplessità degli esperti
Il Garante della Privacy Antonello Soro si è subito detto scettico a riguardo, così come il giurista Ugo Mattei: questi ha infatti affermato che con tale provvedimento “lo Stato si assicura la possibilità di fare un «profiling» dei cittadini per un periodo di una lunghezza esorbitante, e che ormai con la scusa degli attentati vengono stravolti i principi elementari dello Stato di diritto”. L’impressione del prof. Mattei è che in pratica si stia procedendo ad una schedatura di massa.
Giuseppe Corasaniti – magistrato della Corte di Cassazione ed esperto di diritto informatico – è invece più possibilistà, ma afferma che “tale norma rischia di essere inutile poichè interviene sulla legislazione nazionale, mentre la maggior parte dei provider hanno sede all’estero”.
Sebbene questa legge riguardi ciascuno di noi non se n’è sentito parlare molto sui canali mainstream: è nostro desiderio, dunque, provare a far riflettere i lettori prima che la legge venga approvata anche in Senato.
SENEX
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